IL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

di Paolo Bergamo
29 Maggio 2015

Dal 7 marzo 2015 è stata attuata una piccola rivoluzione nel mondo del lavoro con l’introduzione del contratto a tutele crescenti.

Dopo una rapida gestazione il 7 marzo 2015 è entrato in vigore il D.Lgs. 23/2015 che introduce, con medesima decorrenza, appunto il contratto a tutele crescenti.

Differentemente da quanto farebbe trasparire il nome non siamo in presenza di un nuovo contratto di lavoro, bensì di una diversa riparametrazione delle sanzioni in caso di licenziamento dichiarato illegittimo.  Il provvedimento ridimensiona, nelle aziende di maggiori dimensioni (quelle con più di 15 dipendenti per capirci), le conseguenze di un licenziamento che sia dichiarato illegittimo da un giudice.  L’intento del legislatore delegato è stato quello di correggere le distorsioni dei previgenti sistemi sanzionatori imperniati sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge nr. 300 del 20/05/1970) anche al fine di attrarre nuovi investimenti in Italia.
La reintegra sul posto di lavoro (cioè il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato di poter rientrare in azienda o in alternativa la possibilità per il lavoratore di ottenere un ulteriore risarcimento di 15 mensilità di retribuzione) non sarà più la regola, ma l’eccezione. Questa sarà ancora prevista nei soli casi di licenziamento nullo, discriminatorio, intimato in forma orale, e, in modalità attenuata (con un tetto di 12 mensilità al risarcimento) in caso di licenziamento disciplinare in cui sia insussistente il fatto contestato al lavoratore (esempio lavoratore licenziato per furto in azienda, dove in giudizio venga dimostrato la sua totale estraneità alla condotta contestata).
In tutti gli altri casi di patologia del licenziamento la reintegra è esclusa ed il lavoratore avrà diritto “solo” ad un risarcimento economico. Ad esempio nel caso di licenziamenti “economici” e per quelli disciplinari in cui il fatto che sta alla base del licenziamento sia sussistente, il risarcimento del danno sarà commisurato ad un importo non inferiore a quattro e non superiore a 24 mensilità calcolate sull’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Trattamento di Fine Rapporto. Il danno effettivo liquidato dal giudice dovrà essere, all’interno dei limiti fissati, graduato con riferimento all’anzianità di servizio maturata dal lavoratore, in ragione di due mensilità per ogni anno di anzianità. Le frazioni di anno saranno computate in dodicesimi considerando mese intero anche la frazioni uguali o superiori a 15 giorni.
Il medesimo trattamento è previsto anche nei casi di licenziamenti collettivi (aziende con più di 15 dipendenti che licenziano almeno cinque lavoratori in un arco di 120 giorni in conseguenza di una medesima riduzione/trasformazione/cessazione dell’attività nella stessa provincia, ovvero aziende in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria che non sono in grado,al termine del programma, di reintegrare i lavoratori già in fruzione di c.i.g.s.) quando il licenziamento illegittimo è conseguenza del mancato rispetto dei criteri di scelta o delle procedure (peraltro molto complicate) di gestione della mobilità.
Tutti i risarcimenti sono dimezzati nel caso meno grave di licenziamento illegittimo per soli vizi formali o procedurali. In questo caso il danno sarà quantificato dal giudice in una mensilità per anno di anzianità tra un minimo di due ed un massimo di dodici.
Cosa succede invece nelle aziende sottodimensionate ai 16 lavoratori subordinati, cioè quelle i cui lavoratori erano già esclusi dalle tutele ex art. 18 Legge 300/1970?  Per queste il Decreto prevede la reintegra per i soli licenziamenti nulli, discriminatori o intimati oralmente. In tutti gli altri casi di illegittimità accertata del licenziamento gli indennizzi vanno da un minimo di 2 ad un massimo di 6 mensilità calcolte sull’ultima retribuzione per il calcolo del T.F.R. e sarà graduata in ragione di una mensilità per ogni anno di servizio.
Nel caso di vizi esclusivamente formali il risarcimento andrà da un minimo di 1 ad un massimo di 6 mensilità, graduata in ragione di mezza mensilità per anno di servizio.
Confermata la possibilità per il datore di lavoro di revocare il licenziamento già intimato entro quindici giorni dalla comunicazione della sua eventuale impugnazione. In questo caso si eviteranno i risarcimenti per licenziamento  dichiarato illegittimo e il lavoratore percepirà la normale retribuzione anche per il periodo di estromissione dall’azienda.

Una interessante novità riguarda invece l’offerta di conciliazione (art. 6 D.Lgs. 23/2015). Consiste appunto in un’offerta economica al fine di evitare un giudizio vertente sulla legittimità del licenziamento e che, a certe condizioni, consente di non assoggettare la transazione a tassazione (e contribuzione ovviamente).
L’offerta deve essere indirizzata al lavoratore entro i termini decadenziali di impugnazione del licenziamento (60 giorni dalla sua comunicazione) e l’importo deve essere pari ad una mensilità di retribuzione (sempre calcolata sulla retribuzione utile per il T.F.R.) per anno di servizio, in misura non inferiore a due mensilità e non superiore a 18. L’accettazione della somma (da pagarsi con assegno circolare) comporta l’estinzione definitiva del rapporto di lavoro e la rinuncia ad ogni impugnazione (questo anche se fosse già stata proposta in precedenza dal lavoratore). L’offerta transattiva così modulata non sconterà decurtazioni per trattenute fiscali garantendo un  maggior benificio economico all’ex lavoratore in misura non inferiore al 23% (aliquota irpef 1° scaglione). Per le aziende “sottodimensionate” gli importi devono essere dimezzati.

Le tutele crescenti si applicheranno ai lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del Decreto (7 marzo 2015) con qualifica di operai, impiegati, o quadri, e con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre si applicheranno anche ai lavoratori operai, quadri, impiegati che abbiano traformato, dopo il 7 marzo 2015, il proprio contratto a termine o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. Medesimo discorso vale, secondo il D.Lgs. 23/2015, anche ai lavoratori a tempo indeterminato assunti precedentemente il 7 marzo 2015 da aziende che integrino il requisito dimensionale per l’applicazione dell’art. 18 della Legge 300/1970 per effetto di nuove assunzioni a tempo indeterminato successive al 7 marzo 2015.

La normativa di recente introduzione contiene aspetti particolarmente positivi e anche alcuni aspetti critici. Sicuramente apprezzabile il fatto che la nuova normativa consente, in certi casi, di poter calcolare abbastanza agevolmente l’entità del danno che il datore dovrà risarcire al lavoratore nel caso in cui il licenziamento intimato venga dichiarato illegittimo. In pratica l’imprenditore avrà il vantaggio di poter preventivamente valutare (con buona aprossimazione) in termini economici il costo di un licenziamento.  Interessante anche la graduazione dei risarcimenti in riferimento all’anzianità di servizio, eliminando così la discrezionalità del giudicante. Positivo anche aver mantenuto la reintegra sul posto di lavoro per i soli casi più gravi di patologia del licenziamento (licenziamento nullo, discriminatorio, orale, o per insussistenza dell’accusa da cui discende poi il licenziamento). Questo in quanto la reintegra (che spesso viene sostituita dal lavoratore in un ulteriore risarcimento pari a 15 mensilità) è molto onerosa per l’azienda e a volte ha finito per ipertutelare anche chi si era macchiato di condotte poco edificanti.  Altro aspetto particolarmente interessante che sia stata fatta chiarezza in alcuni concetti prima definiti solo dalla giurisprudenza, con il limite che potevano essere ancora diversamente interpretati da altri magistrati giudicanti. Tanto per fare un esempio:

  • Retribuzione Globale di Fatto, concetto aleatorio sostituito con il riferimento all’ultima retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la cui definizione è prevista dalla legge o dai C.C.N.L.
  • Fatto contestato al lavoratore, che deve intendersi quello materiale e non giuridico (senza valutazione circa l’intenzionalità dell’autore).

Inoltre viene scritto nero su bianco che i risarcimenti non sono assogettabili a contribuzione previdenziale, salvo quelli previsti nei casi di reintegra sul posto di lavoro.

Veniamo agli aspetti critici:
La legge di delega (Legge 183/2014) consentiva al governo di adottare un decreto legislativo che introducesse, con riferimento alle “nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento”.
Alla fine il legislatore delegato si è spinto un pò oltre la delega ricevuta, e ha previsto il contratto a tutele crescenti anche per il personale già in forza alla data di entrata in vigore del decreto il quale abbia trasformato a tempo indeterminato il proprio contratto a termine e/o di apprendistato dopo il 7 marzo 2015. Stesso ragionamento anche nel caso di vecchi assunti da aziende sottodimensionate alla soglia occupazionale prevista dall’art. 18 commi 8 e 9 della Legge 300/1970, che integrino tali requisiti a seguito di ulteriori assunzioni a tempo indeterminato effettuate dopo il 7/03/2015.
Alcuni giuristi hanno paventato la possibilità che la norma in questione possa essere dichiarata anticostituzionale per eccesso di delega nella parte appunto che prevede l’applicazione delle tutele crescenti ai lavoratori già in forza prima dell’entata in vigore del Decreto 23/2015.
In tali casistiche, e se la Corte Costituzionale si dovesse esprimere in tal senso, il giudice dovrebbe applicare la precedente e più onerosa norma.
Probabilmente la logica seguita dal legislatore sembrerebbe essere quella di prevedere queste nuove tutele a chi prima non le aveva e quindi nuovi assunti e  anche i vecchi assunti prima esclusi dall’art. 18 Legge 300/1970 (contratti a termine-dipendenti di aziende sottodimensionate etc.).
Altro aspetto critico riguarda il fatto che il legislatore non ha previsto le conseguenze sanzionatorie per tutte le tipologie di licenziamento. Alcun riferimento è stato espresso con riferimento all’illiceità del licenziamento per superamento del periodo di comporto (malattia/infortunio che perdura oltre i termini di conservazione del posto di lavoro).
Non avendolo espressamente nominato, si potrebbe ricadere, a seconda dell’interpretazione del giudice, fra i licenziamenti nulli (perchè contrario all’art. 2110 del codice civile – ipotesi che sembrerebbe più accreditata) oppure tra quelli per giustificato motivo oggettivo (atteso che riguarda comunque  l’organizzazione del lavoro). Nel primo caso le conseguenze sarebbero pesantissime per il datore di lavoro (reintegra), nel secondo caso molto più tenui (solo risarcimento economico). Considerato lo sforzo fatto per mettere mano alla normativa, sarebbe stato opportuno chiarire anche questi aspetti.
In allegato sarà possibile scaricare uno specchietto riassuntivo delle tutele cresenti.

Lo Studio Themis è a vostra disposizione per eventuali chiarimenti.