La riforma delle tipologie contrattuali – Decreto Legislativo 15 giugno 2015 nr. 81. – 2° parte

di Paolo Bergamo
07 Luglio 2015

Con riferimento all’ entrata in vigore, in data 25 giugno 2015, del decreto legislativo 81 del 15 giugno 2015, e riprendendo il precedente articolo pubblicato in data 29 giugno 2015, continuiamo ad analizzare le modifiche apportante alle varie tipologie contrattuali lavorative.
Come già riportato, il Decreto 81/2015 è di fatto diventato una sorta di testo unico delle tipologie contrattuali lavorative riscrivendone le relative discipline e abrogando la vecchie norme.  Ricordando che il nuovo testo modifica le seguenti tipologie contrattuali:
– Lavoro a tempo parziale
– Lavoro intermittente
– Lavoro a tempo determinato
– Somministrazione di lavoro
– Apprendistato
– Lavoro accessorio (cosiddetti voucher)
– Contratto a progetto (abrogazione della tipologia)
– Associazione in partecipazione con apporto anche lavorativo (abrogazione)

analizziamo le principali e più importanti novità che riguardano le seguenti tipologie contrattuali:

LAVORO A TEMPO PARZIALE
La nuova disciplina non prevede grossi cambiamenti rispetto alla previgente (questo in quanto comunque le norme nazionali devono sottostare ai principi stabiliti alla Direttiva emanata dall’Unione Europea pena l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia).  Con riguardo ai contenuti del contratto di lavoro a tempo parziale viene ora previsto, che in caso di articolazione dell’orario di lavoro a turni, la specificazione dell’orario lavorativo possa avvenire anche mediante rinvio a turni programmati su fasce orarie prestabilite. Importanti novità sono state introdotte invece con riguardo al lavoro supplementare, straordinario e alle clausole elastiche.
Lavoro supplementare:
È l’orario superiore a quello part time contrattualizzato ma non superiore al normale orario settimanali generale (normalmente le 40 ore).  Innanzitutto è prevista la possibilità di richiederlo al lavoratore part time nel duplice rispetto: 1) dell’orario normale settimanale 2) della disciplina dei contratti collettivi (anche aziendali) La nuova dizione della norma fa venir meno il precedente divieto di lavoro supplementare nel caso di part time verticale (quando la prestazione è a tempo pieno per parte della settimana, del mese o dell’anno) o misto (commistione fra part time verticale e orizzontale).   Nel caso in cui i contratti collettivi non disciplinino il ricorso al lavoro supplementare viene prevista ora una regolamentazione legale. Il datore di lavoro sarà autorizzato a richiedere prestazioni supplementari in misura non superiore al 25% dell’orario settimanale concordato. Il lavoratore potrà rifiutarsi per comprovate esigenze lavorative (potrebbe essere il caso di un lavoratore con due lavori part time quando l’orario extra del primo part time si vada a sovrapporre all’orario di lavoro del secondo rapporto), di salute, familiari e di formazione professionale.  Il legislatore si preoccupa di prevedere anche una maggiorazione della retribuzione per lavoro supplementare nella misura del 15%.  Saranno consentite anche prestazioni di lavoro straordinario. In precedenza esse erano vietate al lavoratore part timer “orizzontale” (riduzione orario giornaliero per tutte le giornate lavorative previste) ed erano consentite ai soli lavoratori part timer “verticali” qualora si fosse in un periodo di lavoro a orario pieno.
Clausole elastiche:
Le vecchie clausole elastiche (che consentivano l’aumento della prestazione lavorativa contrattuale) e flessibili (che consentivano la diversa collocazione dell’orario fermo restando la quantità di ore lavoative) ora vengono definite “elastiche” intendendone entrambe le tipologie e quindi prevedendo un’unica disciplina. In primo luogo la nuova clausola elastica (vecchia clausola elastica + vecchia clausola flessibile) potrà essere pattuita per iscritto nel contratto di lavoro part time nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi (anche stipulati a livello aziendale). In precedenza era ammessa la stipula di clausole flessibili  per tutte le tipologie di contratti part time, ma era possibile la stipula di clausole elastiche ai soli contratti part time misti/verticali. Ora entrambe le clausole potranno essere stipulate per ogni tipo di articolazione dell’orario di lavoro. Per l’esercizio delle clausole compete al lavoratore un preavviso di almeno due giorni lavorativi, salvo diverso accordo fra le parti (una delle rare norme derogabili previste nel diritto del lavoro!). Come per il lavoro supplementare anche con riferimento alle clausole elastiche il legislatore si preoccupa di disciplinare la materia nel caso in cui non esista una norma collettiva. Nel caso in esame le clausole potranno essere stipulate per iscritto presso le commissioni di certificazione dei contratti di lavoro con le seguenti caratteristiche: 1. previsione delle condizioni e modalità per l’esercizio delle clausole 2. preavviso di  due giorni lavorativi 3. misura massima dell’aumento della durata della prestazione lavorativa del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale Viene anche prevista una maggiorazione del 15% della retribuzione afferente le ore prestate in aumento della durata contrattuale.
Patologie:
I lavoratori affetti da patologie oncologiche, o cronico-degenerative ingravescenti con accertamento di una ridotta capacità lavorativa da parte della commissione medica dell’Asl (eventualmente anche a causa degli effetti delle terapie salvavita) potranno trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, e successivamente ritornare a tempo pieno su richiesta. È riconosciuta una priorità rispetto alla trasformazione del contratto a tempo pieno in part time qualora le patologie di cui sopra riguardino il coniuge, i figli, o i genitori del lavoratore/trice, e questo anche nel caso il lavoratore assista una persona convivente inabile totalmente  e permanentemente al lavoro con connotazione di gravità e con necessità di assistenza continua perchè non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. In questi casi, pur molto gravi va evidenziato che la priorità potrebbe anche non comportare mai una trasformazione a part time dell’orario di lavoro essendo solo un diritto di precedenza. Stessa priorità è prevista anche nel caso di genitore convivente con un figlio di età non superiore a tredici anni, oppure a prescindere dall’età in caso di figlio portatore di handicap. Il lavoratore che abbia ottenuto la trasformazione a part time del proprio rapporto di lavoro ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo pieno per le stesse mansioni o mansioni inquadrate nelle stesso livello e categoria legale. E’ abbastanza desueto che il legislatore abbia voluto prevedere un diritto di precedenza rispetto alle nuove assunzioni con riferimento a personale che sia già in forza. Crediamo che questo significhi che il datore di lavoro prima di assumere un nuovo dipendente a tempo pieno (fermo restando l’analogia di inquadramento) debba prima esaudire il desiderio di ritornare a lavorare a tempo pieno per chi in passato sia stato trasformato da tempo pieno a tempo parziale.
Riduzione dell’orario di lavoro alternativo al congedo parentale:
È stata introdotta anche la possibililtà, in alternativa alla fruizione del congedo parentale (ex maternità facoltativa per capirci), di riduzione del rapporto a tempo pieno in part time purché l’orario di lavoro non subisca una riduzione superiore alla metà. In questo caso il datore di lavoro sarà costretto ad accettare, entro quindici giorni, la richiesta del lavoratore.

SOMMINISTRAZIONE DI MANODOPERA
Con la nuova normativa viene consentito il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato (prima invece previsto solo per alcune specifiche categorie di lavoratori) ma con la previsione del limite del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di stipula del contratto, oppure, in caso di inizio dell’attività in corso d’anno, il calcolo andrà eseguito alla data stessa di stipula del contratto. I contratti collettivi (compresi quelli aziendali) potranno prevedere limiti differenti.
La somministrazione a tempo determinato (che riguarda la stragrande maggioranza dei casi) è rimessa ai limiti previsti dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore (azienda). A differenza di quanto previsto per il contratto a tempo determinato, nella somministrazione di manodopera a termine non è previsto nessun limite quantivo massimo legale (20%) in mancanza di disciplina collettiva. Già questo dà l’idea di come il legislatore abbia deciso di favorire il ricorso a questa tipologia di contratti, peraltro più costosi rispetto  all’assunzione di manodopera diretta, a  tutto discapito del contratto a tempo determinato.
Per quanto riguarda gli oneri comunicazionali non è stato ribadito l’obbligo (prima pesantemente sanzionato) di comunicare alle rappresentanze sindacali in azienda, ovvero in mancanza di queste alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori  comparativamente rappresentative sul piano nazionale, in via preventiva, il numero e  i motivi del ricorso al contratto di somministrazione.
Viene invece mantenuto l’obbligo di effettuare una comunicazione riepilogativa annuale,  da farsi sempre ai medesimi soggetti sindacali, con riguardo a l numero dei contratti stipulati, la durata, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati. La sanzione, in mancanza, sarà calcolata fra un minimo di 250,00 € e un massimo di 1.250,00 €.
La nuova norma si preoccupa anche di fare chiarezza circa le conseguenze della somministrazione irregolare. Intanto è corretto ricordare che prima la patologia della  somministrazione si suddivideva in ipotesi irregolare e ipotesi fraudolenta, comportando distinte responsabilità. Ora l’ipotesi di somministrazione fraudolenta viene meno (e con essa la relativa sanzione penale). Per cu le conseguenze per la somministrazione irregoalare saranno di soli due tipi:
1. In mancanza di contratto di somministrazione con forma scritta il contratto è nullo e il lavoratore sarà considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore (con effetto dall’inizio della somministrazione).
2. Negli altri casi di irregolarità (somministrazione oltre i limiti previsti dalla legge o dal contratto collettivo, somministrazione in caso di tassativo divieto, contratto senza i requisiti minimi previsti dalla legge) sarà il lavoratore stesso a poter chiedere la costituzione diretta del rapporto di lavoro presso l’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione. In questi casi il lavoratore (e questa è un’importante precisazione) dovrà agire entro i termini decadenziali di 60 giorni dal termine della missione. Entro i successivi 180 giorni dovrà depositare il ricorso in tribunale.  Il giudice che accolga la richiesta del lavoratore condannerà l’azienda (come avviene nel caso dei contratti a tempo determinato) al risarcimento del danno fissato fra 2,5 e 12 mensilità calcolate con riferimento all’utlima retribuzione annua utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto. In analogia con il contratto a tempo determinato, anche in questo caso viene specificato che tale risarcimento ristora tutti i danni subiti dal lavoratore relativamente al periodo compreso fra la cessazione della missione e la pronuncia del giudice.

APPRENDISTATO
Il legislatore interviene nuovamente sull’apprendistato. Ormai le modifiche legislative intervenute negli ultimi 10 anni in materia non si contano più. E questo è sintomo di come questa tipologia contrattuale stia vivendo un periodo di crisi, dovuta a molteplici fattori:
– la complessità della materia, regolata da norme di legge, collettive, regionali;
– il notevole contenzioso che si è instaurato tra le aziende e i lavoratori specie in caso di disdetta del contratto al termine del periodo formativo;
– la previsione di formazione esterna all’azienda, peraltro poco incentrata sulle specifiche mansioni dei lavoratori;
– l’inapplicabilità dell’apprendistato nei rapporti di lavoro stagionali, salvo qualche eccezione (C.C.N.L. TURISMO);
– l’eccessiva burocratizzazione del rapporto di lavoro. Infatti è necessario stipulare un piano formativo iniziale con l’apprendista, che deve recepire (ed adattarsi) ai contenuti previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, compilare una scheda della formazione erogata dal datore di lavoro (nei tempi e modi previsti dal C.C.N.L.) a comprova dell’avvenuta formazione; previsioni di sanzioni amministrative molto onerose in caso di insufficiente (o inesistente) formazione di cui sia responsabile l’azienda.
Ma con ogni probabilità il difetto maggiore è dovuto proprio alla Costituzione Italiana, che riserva, dal 2001, legislazione esclusiva alle Regioni e Province autonome in materia di formazione professionale. Si consideri infatti che il contratto di apprendistato è un contratto a contenuto formativo e causa mista (lavoro + formazione).
Fatta questa premessa è facile capire come le modifiche ora introdotte (non potendo incidere sulla Costituzione Italiana) non apportino  variazioni sostanziali tali da sancire il successo di questa tipologia contrattuale.  Il nuovo testo, si limita, per gran parte, a prevedere quanto già previsto dalle previgenti normative in materia, con qualche modifica di dettaglio.
Rimane la distinzione delle tre tipologie di apprendistato che vengono definite:
1. Per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, e il certificato di specializzazione tecnica superiore.
2. Professionalizzante.
3. Di alta formazione e ricerca
Il primo tipo consente di ottenere un titolo scolastico integrando lavoro e formazione ed è l’unica tipologia che si rivolge ai lavoratori minorenni (dai 15 ai 25 anni). Il datore di lavoro assumerà l’apprendista previa convenzione con l’istituzione scolastica e l’obiettivo sarà il rilascio di un titolo di studio valido. Di conseguenza la durata dell’apprendistato dipenderà  dalla qualifica o dal diploma da conseguire, con un limite di 3 anni o quattro nel caso di diploma professionale quadriennale. All’interno del periodo di lavoro si alterneranno periodi di formazione di tipo scolastico e periodi di lavoro in azienda.
Il datore di lavoro sottoscriverà un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto che stabilirà contenuti e durata degli obblighi formativi a carico del datore di lavoro. Tale protocollo recepirà le indicazioni previste da un decreto di futura emanazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Istruzione e formazione e con il Ministero delle Finanze. Una precisazione importante è che l’azienda non sarà tenuta a retribuire l’apprendista per le ore di formazione svolte in aula, mentre durante la formazione in azienda la retribuzione sarà il 10% di quella che gli sarebbe dovuta, salvo diverse previsioni dei contratti collettivi.
Viene confermata la possibilità (ad oggi puramente teorica) di prevedere da parte dei contratti collettivi e nelle Regioni che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, modalità di apprendistato stagionale.
Bisogna considerare che finora questa tipologia contrattuale è stata pressoché inutilizzata. Ora forse alcuni aspetti sono stati chiariti ma comunque resta una complessità elevata nella gestione di questo tipologia di apprendistato.
Il secondo tipo (professionalizzante) è il classico apprendistato, in cui l’assunzione è finalizzata a rendere il lavoratore inesperto, un lavoratore qualificato. Questo contratto è instaurabile dai 18 ai 29 anni, con possibilità di anticipare ai 17 anni di età l’assunzione solo nel caso in cui il lavoratore sia in possesso di un diploma di qualifica professionale.
La nuova normativa non incide su quelle che erano già le precedenti regolamentazioni per cui passeremo oltre.
Il terzo ed ultimo tipo di apprendistato è finalizzato al conseguimento di titoli di studio universitari, dottorati di ricerca, per lo svolgimento del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. Possono accedervi i giovani tra i 18 e i 29 anni di età (anche fino a 29 anni e 364 giorni). Questo tipo presenta molte analogie con il primo tipo, essendo entrambe finalizzate al conseguimento di titoli di studio. L’azienda dovrà stipulare una convenzione con l’università  o con l’istutuzione formativa stabilendo durata, modalità della formazione a carico del datore di lavoro, e numero dei crediti formativi riconoscibili allo studente. La durata dell’apprendistato sarà rimessa alle Regioni e province autonome , ovvero in mancanza di regolamentazione regionale, sulla base di apposite convenzioni stipulate fra datore di lavoro e le università o istituzioni formative. Anche qui viene previsto che durante la formazione in aula non sarà dovuta retribuzione all’apprendista, mentre la formazione a carico del datore di lavoro sarà pari al 10% di quella dovuta salvo diversa previsione contrattuale.

ASSOCIAZIONI IN PARTECIPAZIONE
Semplicemente la norma abroga la tipologia contrattuale dell’associazione in partecipazione con apporto (anche) di lavoro con associato persona fisica, fatto salvo i contratti in corso di svolgimento che potranno continuare fino alla loro scadenza.  Leggendo la norma al contrario risulta quindi salva la possibilità di associazione in partecipazione con apporto di lavoro qualora l’associato non sia una persona fisica ma magari una società. Ricordiamo che il contratto di associazione in partecipazione consiste nell’ottenimento di una percentuale su un utile o un affare da parte dell’associato, in corrispettivo di un apporto. Questo apporto può consistere in un capitale  o in un lavoro, oppure un misto tra le due cose. Si tratta di un rapporto di lavoro di tipo non subordinato, non essendo soggetto l’associato al potere gerarchico e direttivo dell’associante. La relativa disciplina fiscale e previdenziale ha fatto si che in passato si sia abusato della tipologia in commento al fine di ridurre il carico previdenziale sui rapporti di lavoro, e questo è probabilmente un motivo che ne ha determinato l’abrogazione.

CONTRATTI DI COLLABORAZIONE A PROGETTO
A far data dal 25 giugno 2015 i contratti di collaborazione a progetto non potranno più essere sottoscritti in quanto la tipologia contrattuale è stata abrogata.  Potranno continuare i contratti in essere prima del 25 giugno 2015 e non ancora scaduti.
L’eliminazione del contratto a progetto non determina comunque l’estinzione della fattispecie, in quanto, i contratti  a progetto sono un sottoinsieme dei contratti di collaborazione coordinata a e continuativa (art. 409 c.p.c.) e sono stati introdotti ad opera della Legge Biagi per limitarne la proliferazione.  Ora con la nuova abrogazione si torna al vecchio regime (le co.co.co.) però con qualche novità:
1. A far data dal 1 gennaio 2016 si applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretizzino in prestazione esclusivamente personali, continutative, e organizzate dal committente anche con riferimento al tempo e al luogo di lavoro. In pratica il legislatore ha introdotto una presunzione che, al verificarsi dei tre requisiti (personalità, continuità, etero direzione) farà si che si applichi la disciplina del lavoro subordinato anche alle collaborazione autonome, agevolando di molto il compito del personale ispettivo.
2. Saranno esclusi da questo automatisto le collaborazioni:
– in cui i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedano discipline specifiche per il trattamento economico e normaitivo (uno su tutti, il CCNL per i Call Center).
– Prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per i quali sia necessaria l’iscrizione ad un albo.
– Prestate nell’esercizio di funzioni di controllo e amministrazione delle società (consigliere d’amministrazione, amministratore unico) etc.
– Per la partecipazione a colleggi o commissioni.
– Rese a fini istituzionali in favore delle associazioni o società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali o riconosciute dal C.O.N.I.

Con la medesima decorrenza (1 gennaio 2016) il legislatore ha introdotto una sorta di condono in relazione alle eventuali sanzioni amministrative per chi abbia occupato personale con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, o con partita iva (lavoro autonomo). Accederanno a questo salvacondotto i datori di lavoro che procederanno ad assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (la norma non specifica il regime orario per cui si ipotizza anche in regime di part time) gli stessi lavoratori già parti di queste tipologie di contratti. Dovranno inoltre garantire l’occupazione per almeno 12 mesi (salvo giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento). L’efficacia del condono è subordinata anche alla firma presso sedi “qualificate” di appositi atti di conciliazione circa le eventuali pretese che potrebbe rivendicare il lavoratore per i rapporti pregressi. In pratica l’accordo blinderebbe i vecchi contratti di collaborazione o con partita iva se stipulato ad esempio in una sede sindacale, o presso la commissione in seno alla Direzione Territoriale di Lavoro. Il condono consisterà nell’estinzione di eventuali illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione dei suddetti pregressi rapporti di lavoro.
In un primo momento la bozza di decreto non prevedeva il differimento al 1 gennaio 2016 del termine per la “stabilizzazione” incentivata dei vecchi contratti di collaborazione/p.iva. Lo slittamento del termine è dovuto con ogni probabilità alla volontà di non far beneficiare queste stabilizzazioni dell’incentivo (esonero) triennale previsto dalla legge di stabilità (L. 190/2014). Questa infatti premia i datori di lavoro che assumono stabilimente personale che non sia assunto con contratto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti la nuova assunzione, ma è limitate alle assunzioni effettuate nel corso del 2015.
Probabilmente questo è anche indice del fatto che probabilmente nel 2016 non ci sarà alcuna (sperata) proroga della misura esonerativa che è stata molto apprezzata durante questi mesi di utilizzo!

LAVORO ACCESSORIO – ULTIMI AGGIORNAMENTI
Nel precedente articolo del 29 giugno 2015 vi abbiamo informato del nuovo obbligo comunicativo per il lavoro accessorio (comunicazione alla direzione territoriale del lavoro).
Vi segnaliamo che il Ministero del Lavoro, attraverso una nota ufficiale, ha stabilito che fino all’attivazione delle relative procedure telematiche, la comunicazione potrà essere ancora assolta attraverso la previgente comunicazione da farsi presso il sito Inps o tramite call center.

Lo Studio rimane a vostra disposizione per eventuali chiarimenti.