La riforma delle tipologie contrattuali – Decreto Legislativo 15 giugno 2015 nr. 81

di Paolo Bergamo
29 Giugno 2015

È entrato in vigore, in data 25 giugno 2015, il decreto legislativo 81 del 15 giugno 2015, di riforma delle tipologie contrattuali lavorative. Il nuovo Decreto, in attuazione della legge delega 183/2014, e facente parte dell’ormai arcinoto “JOBS ACT” ovvero italianizzato “legge dei lavori”, ha riscritto le norme di disciplina delle principali tipologie contrattuali esistenti, abrogandone la previgente disciplina e creando un testo organico di riferimento.

Le tipologie contrattuali disciplinate dal nuovo testo di legge sono le seguenti:
– Lavoro a tempo parziale
– Lavoro intermittente
– Lavoro a tempo determinato
– Somministrazione di lavoro
– Apprendistato
– Lavoro accessorio (cosiddetti voucher)
– Contratto a progetto (abrogazione della tipologia)
– Associazione in partecipazione con apporto anche lavorativo (abrogazione)

Oltre alla nuova disciplina delle tipologie contrattuali il D.Lgs. 81/2015 si occupa anche di riscrivere in senso più liberale (dopo tanta attesa) la disciplina della variazione delle mansioni, rimodulando il vetusto art. 2103 del codice civile.
Inoltre introduce la possibilità, a decorrere dal 1 gennaio 2016, di stabilizzare le collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto o i collaboratori con partita Iva in contratti a tempo indeterminato beneficiando di una sorta di sanatoria per l’eventuale estinzione di illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro.
Complessivamente il testo si compone di 57 articoli, ragion per cui, vista la grande mole, analizzeremo in più articoli le varie tipologie contrattuali, soffermandoci in questa sede sulle regole relative al lavoro a tempo determinato, accessorio, e intermittente.

LAVORO INTERMITTENTE
La nuova norma consente il ricorso al contratto a chiamata in tre casi:
1) secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi. In pratica saranno i contratti collettivi (anche stipulati a livello aziendale) a dover indicare in quali casi potranno essere instaurati rapporti di lavoro a chiamata.
2) In periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi.
Questo significa anzitutto che è ritornata la possibilità, negata dalla riforma Fornero, di instaurare i contratti a chiamata in determinati periodi dell’anno (tipico il periodo delle vacanze estive, o dei week end). Sarà la contrattazione collettiva (anche aziendale) a disciplinare i periodi di instaurabilità.
Il legislatore rimette alle parti sociali la possibilità di dettare le regole di questo importante contratto di lavoro, prevedendo anche la possibilità di introduzione in sede di stipula  di un accordo aziendale ad hoc con le organizzazioni sindacali sulle specifiche esigenze (il classico vestito su misura!). Infine è previsto che in mancanza di disposizioni da parte dei contratti collettivi (ad esempio per riluttanza delle Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori alla stipula di un accordo in tal senso) tali specifiche saranno individuate in via supplettiva da un Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ad oggi esiste già un decreto ministeriale che individua le specifiche rimandando però alle tipologie di lavoro discontinue previste in un Regio Decreto del 1923, e che comporta agli operatori grossi problemi pratici in quanto le figure lavorative ivi previste mal si adattano ad un contesto lavorativo del 21° secolo. Per farsi un’idea il Regio Decreto individua come discontinue attività quanto meno desuete quali “Cavallanti, Stallieri, fattorini etc”!
Ora, e fino all’adozione del nuovo decreto, si dovrà ancora fare riferimento a queste figure professionali, in quanto il legislatore, anche al fine di non creare vuoti normativi fra le vecchie e le nuove norme, ha previsto l’ultravigenza di quanto precedentemente disposto.
3) In ogni caso il contratto a chiamata può essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età (fino a 23 anni e 364 giorni è possibile instaurare il contratto) a patto che le prestazioni lavorative siano svolte fino al compimento del 25 anno di età (24 anni e 364 giorni), o con più di 55 anni di età. In questo caso sarà sempre possibile instaurare il contratto a chiamata, a precscindere dalla disciplina contrattuale o da qualsiasi altra considerazione. Questa parte non ha subito cambiamenti sostanziali rispetto alla precedente versione della legge.
Anche il nuovo testo di legge limita il ricorso del contratto a chiamata a massimo 400 giornate lavorative con il medesimo prestatore nell’arco di 3 anni solari. Non sono previsti limiti di utilizzo nei settori del turismo, pubblici esercizi e dello spettacolo. In caso di superamento del limite (dove previsto) il contratto a chiamata si trasforma in contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (la forma comune di rapporto di lavoro secondo il Decreto).

Altre variazioni non sembrano rinvenirsi circa i divieti di stipulazione (che ricordiamo  essere per sostituire lavoratori che scioperano, nelle unità produttive in cui si è proceduto a licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti, oppure, e questo forse è il caso più insidioso, nelle aziende che non hanno effettuato la valutazione dei richi in applicazione della normativa di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori). Rimane l’obbligo, peraltro pesantemente sanzionato (400-2400 euro) di effettuare una comunicazione preventiva della chiamata, che normalmente viene eseguita compilando ed allegando il modello Uni-intermittenti ad una mail indirizzata a intermittenti@pec.lavoro.gov.it. Per la cronaca gli enti preposti si sono industriati individuando anche altre modalità come gli s.m.s. e addirittura prevedendo un’applicazione installabile sui telefonini di nuova generazione (smart phone per chi mastica l’inglese!).

LAVORO A TEMPO DETERMINATO
Considerato che la vera riforma del contratto a tempo determinato era già stata varata dall’attuale esecutivo circa un’anno fa (vedasi precedenti ns. articoli consultabili ai seguenti link http://www.digitals57.sg-host.com/news/jobs-act-parte-prima.htmlhttp://www.digitals57.sg-host.com/news/decreto-legge-n-34-14-jobs-act-contratti-a-termine.html  e http://www.digitals57.sg-host.com/news/conversione-in-legge-del-decreto-lavoro.html )ora il legislatore ha solo integrato e corretto alcune parti che potevano prestarsi a duplici interpretazioni. Analizziamo pertanto le novità più salienti tralasciando gli aspetti già noti:
1. Limite alla stipula dei contratti a termine per complessivi 36 mesi (comprensivi di eventuale somministrazione a tempo determinato) con lo stesso lavoratore  per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale (prima “per mansioni equivalenti”).
2. Fanno eccezione a questa regola eventuali diverse pattuizioni da parte della contrattazione collettiva (anche aziendale), o le attività stagionali che saranno individuate con decreto (ad oggi invece si fà riferimento ad un D.P.R. 1525/1963 che però da una definizione della stagionalità turistica legata alla durata della inattività aziendale creando più di qualche perplessità).
3. Possibile la stipula di un nuovo contratto in deroga ai 36 mesi presso la Direzione Territoriale del Lavoro (ma senza la necessaria presenza di un soggetto sindacale che assista il lavoratore come prima previsto).
4. Rimangono le cinque proroghe nell’arco dei 36 mesi e gli stacchi minimi (10 o 20 giorni a seconda della durata del contratto iniziale) tra un contratto a termine e quello successivo, salvo le attività stagionali (previste dal futuro decreto)
5. Limite alla stipula dei contratti a tempo determinato al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione, o, in caso di inizio attività in corso d’anno, alla data di assunzione. Se invece il limite è fissato dal contratto collettivo (e anche qui, a differenza di quanto prima previsto, il contratto collettivo può anche essere aziendale, cosa molto interessante perchè l’azienda potrebbero in sede di concertazione ampliare i limiti già previsti magari dai contratti nazionali) sarà questo il limite da rispettare. In caso di superamento del limite (legale o convenzionale) è prevista una pesante sanzione amministrativa (ma questa non è una novità purtroppo!) ma almeno il legislatore si è curato di rimediare ad una clamorosa svista del previgente decreto: è chiarito, nero su bianco, che in caso di superamento dei limiti l’azienda pagherà una sanzione amministrativa ma resta esclusa la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro illegittimamente stiupulato a termine. Secondo il mio parere questa nuova previsione, se vogliamo anche doverosa, potrebbe essere tacciata di incostituzionalità in quanto lesiva del diritto del lavoratore ingiustamente assunto a tempo determinato a vedersi riconoscere un contratto di lavoro stabile. Ma questa per il momento è solo una supposizione personale.
6. Viene prevista una nuova formulazione per il computo dei contratti a tempo determinato, salvo diversa disciplina (per esempio quella per il conteggio della soglia ai fini dell’assunzione obbligatoria dei disabili, la quale prevede il NON computo dei contratti a termine di durata inferiore a sei mesi) sulla base del numero medio mensile dei lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.  In pratica questo significa che, ogni qualvolta sia necessario quantificare il numero dei lavoratori complessivi di un’azienda,  i lavoratori a tempo determinato valgono in base alla loro effettiva durata nei due anni precedenti. Esempio: 4 contratti a tempo determinato, ciascuno della durata di sei mesi instaurati nei due anni precedenti valgono un lavoratore (4*6/24).
7. Viene definitivamente chiarito che in caso di trasformazione a tempo indeterminato del rapporto precedentemente a termine, da parte del giudice (su istanza del lavoratore evidentemente) il lavoratore avrà diritto ad un indennizzo onnicomprensivo di qualsiasi altro pregiudizio(sia esso retributivo o contributivo) stabilito fra le 2,5 e le 12 mensilità calcolato sulla retribuzione utile per il calcolo del T.F.R. dell’ultimo anno.
Questo indennizzo, che copre il periodo che va dalla cessazione del contratto a termine e la sentenza di trasformazione a tempo indeterminato, ristora integralmente il lavoratore. In passato alcuni lavoratori hanno chiesto (e qualche volta ottenuto) un risarcimento aggiuntivo ad esempio per la mancata contribuzione, oltre a vedersi riconoscere la somma di cui sopra. Con questa precisazione si è voluto evitare atteggiamenti furbeschi da parte dei lavoratori.

LAVORO ACCESSORIO (VOUCHER)
Sembra definitivamente chiarita la determinazione del legislatore di voler estendere (e non ridurre) l’utilizzo di questo sistema di lavoro. Questo nonostante i numerosi verbali stilati dalle locali sedi INPS del Veneto nella passata stagione, che invece dimostravano un approccio ben diverso da parte dell’Istituto Previdenziale.
Infatti il nuovo testo, riprendendo in larga parte le novità già introdotte dalla Riforma Fornero e ricorrette dal Decreto del Fare (76/2013), ha ampliato il ricorso ai voucher da 5,000 euro complessivi per lavoratore (sommando tutti i committenti) a 7,000 euro complessivi per anno civile (1 gennaio – 31 dicembre  – finalmente il legislatore ha abbandonato il termine “anno solare” che ingenerava molta confusione essendo per definizione un periodo di 365 giorni  indipendentemente dal giorno di inizio!).Gli imprenditori e i professionisti hanno un limite di 2.000 euro di voucher per prestatore annualmente rivalutati. Qui il legislatore sembrerebbe essersi dimenticato il riferimento all’anno civile che però darei per scontato essendo poco sensato aver previsto un limite massimo punto.
Viene reintrodotto (questa volta a regime) la possibilità di ricorso a voucher per 3,000 euro di compenso per anno civile per prestatore se percettore di prestazioni integrative del salario o reddito (percettori di disoccupazione, cassa integrazione etc). Ora queste figure potranno prestare lavoro a voucher durante la percezione delle prestazioni economiche a sostegno del salario, per 3,000 euro complessivi senza dover temere di perdere in tutto o in parte la prestazione economica di disoccupazione/cassa integrazione o altro e senza dover preoccuparsi di informare dell’instaurazione del rapporto di lavoro l’Istituto erogatore la prestazione pena la decadenza.
Naturalmente in questo caso il professionista o imprenditore comunque non potrà erogare più di 2,000 euro complessivi al medesimo percettore. Secondo le previgenti circolare dell’Inps e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (che riteniamo essere ancora efficaci vista la sostanziale equivalenza fra i nuovi e vecchi testi di legge) i compensi sono da considerarsi al netto (7,5 € per ora di prestazione). Evidentemente allo scopo di evitare abusi, il legislatore ha introdotto, per gli imprenditori e i professionisti, dal 25 giugno 2015, l’obbligo analogo a quello previsto per la chiamata del lavoratore intermittente, cioè quello di comunicare alla Direzione Territoriale del Lavoro competente per provincia, attraverso modalità telematiche (anche sms o posta elettronica) i dati anagrafici del prestatore di lavoro, il luogo della prestazione, e i periodi di lavoro il cui arco temporale non può eccedere i 30 giorni successivi. La stessa norma prevede che fino al 31 dicembre 2015 resta ferma la previgente disciplina per l’utilizzo dei buoni di lavoro accessori già richiesti alla data di entrata in vigore del Decreto. Questa formulazione, quanto mai ambigua, sembrerebbe indicare che i voucher già richiesti (ergo acquistati)  prima del 25/06/2015 potranno essere utilizzati con le vecchie modalità (cioè con comunicazione telematica all’Inps) e con acquisto presso tabaccai, banche, poste, e all’inps, anzichè con procedure esclusivamente telematiche come ora previsto.
In attesa dei dovuti chiarimenti, e in via estremamente prudenziale, consigliamo comunque di fare una doppia comunicazione, quella classica all’Inps attraverso il sito, e una mail all’indirizzo DTL.nomeprovincia@lavoro.gov.it ,adempimenti che dovranno essere preventivi rispetto alla prestazione lavorativa.
Infine è stato esplicitato il divieto di utilizzo di voucher nell’ambito degli appalti. Il legislatore fa proprio quanto detto e scritto attraverso le circolari da parte degli enti previdenziali e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sul tema.

Lo Studio resta a disposizione per qualsiasi chiarimento.