Trasferta o Trasfertismo?
di Roberta PavanelloSembra un modo diverso per esprimere lo stesso concetto, eppure la distinzione è devastante. Tanto più che a livello fiscale e contributivo le due fattispecie sono trattate in maniera completamente diversa.
Sembra un modo diverso per esprimere lo stesso concetto, eppure la distinzione è devastante. Tanto più che a livello fiscale e contributivo le due fattispecie sono trattate in maniera completamente diversa. Stiamo parlando delle indennità che i datori di lavoro erogano ai lavoratori dipendenti che si recano in trasferta, ma in un caso godono di un trattamento di favore, nell’altro no.
Il caso viene alla ribalta lo scorso anno per effetto di una sentenza della corte di cassazione che inquadra correttamente la questione, a nostro modo di vedere. La norma è l’art. 51 del T.U.I.R. La suprema corte ritenendo il lavoratore “trasfertista” ha condannato l’azienda a corrispondere all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (IN.P.S.) un considerevole importo a titolo di contributi evasi e calcolate sulle indennità di trasferta. A nulla sono valse le argomentazioni dell’azienda che per difendersi ha citato una cospicua mole di circolari, messaggi, e pareri emessi negli anni dagli stessi Enti Previdenziali che indicavano come corretta la prassi aziendale. È paradossale ma l’I.N.P.S. Ha intentato (e vinto) la causa contraddicendo il suo punto di vista scritto a chiare lettere sulle sue stesse circolari!
Analizzando attentamente la questione si può notare come il ragionamento della Corte sia assolutamente condivisibile.
A questo punto ci chiediamo, ma quante aziende in Italia si sono comportate come la malcapitata azienda condannata?
Di assoluta importanza è quindi inquadrare correttamente l’una e l’altra fattispecie per evitare spiacevoli sorprese.
L’indirizzo giurisprudenziale sembra consolidarsi dato che una sentenza fotocopia è stata emessa dalla Corte di Cassazione nello scorso mese di ottobre 2013.