Pagamenti in contanti: dal 1° luglio soglia a € 2.000
di Alessandro BoattoCi risiamo.
Dal 1° luglio 2020 (e fino al 31 dicembre 2021) la soglia per i trasferimenti di denaro contante si abbassa a € 2.000.
Non è la prima volta che il nostro legislatore interviene in materia.
Esaminando il fenomeno dal 2010 in poi, il limite in questione è variato già 6 volte, con vertiginosi sali e scendi da un massimo di € 12.500 ad un minimo di € 1.000.
La misura, volta a favorire l’utilizzo del pagamento elettronico, vuol contrastare l’evasione fiscale permettendo il tracciamento delle spese degli italiani da mettere a confronto con le entrate finanziarie degli stessi.
In particolare la norma, contenuta nell’ultima legge di bilancio, prevede che i trasferimenti “fisici” in contanti che avvengano per qualsiasi causa tra due o più soggetti diversi non possono essere pari o superiori ad € 2.000.
Di fronte a questo limite esistono però delle operazioni consentite come il trasferimento di contanti tra soggetti “non diversi” (ad’esempio il passaggio tra la sfera aziendale a quella privata dell’imprenditore individuale/professionista) e i prelievi/versamenti in conto corrente.
Particolare attenzione va posta poi a tutte quelle situazioni che potrebbero essere inquadrate come “operazioni frazionate”, cioè quell’insieme di pagamenti inferiori al limite, la cui somma però eccede la soglia consentita.
Tali operazioni sono infatti consentite solo se previste dalla prassi commerciale o da accordi contrattuali.
Vale la pena ricordare, inoltre, che il predetto limite si abbasserà ad € 1.000 dal 1 gennaio 2022 e probabilmente ancor di più futuro (se pensiamo che non più tardi di qualche mese fa si ipotizzava un’imposta sui prelievi di contanti).
Insomma, l’intento del governo, mosso dal mantra “contante = evasione fiscale” è evidente: combattere l’evasione attraverso la minore circolazione della moneta.
Obiettivo chiaro e misura di dubbia efficacia.
Ma a prescindere da questo, due sono le considerazioni che sorgono spontanee.
La prima riguarda il fatto che l’introduzione di tali limiti è basata sull’assunto (in parte sbagliato) secondo il quale l’evasione si muove principalmente attraverso il denaro contante quasi dimenticandosi di tutte quelle operazioni, messe in atto molti piani più in alto di quelli in cui risiede il consumatore finale, che sarebbero, probabilmente, il vero nemico da combattere (ma qui ci addentriamo in discorsi tecnici e complicati).
La seconda considerazione, più nazional popolare, è che lo Stato, incapace di combattere l’evasione alla fonte, prova a contrastarla a valle, a costo di privare il cittadino di una sua libertà fondamentale:
quella di spendere il proprio denaro come, dove e quando vuole, senza necessariamente farlo sapere a qualcuno.
Ma allora viene da chiedersi, al di là di tutti i pregiudizi:
cosa rimane allora di tutti quei concetti di libertà individuale e privacy? Dov’è l’equilibrio tra la libertà di ognuno di noi e l’interesse pubblico?
Domande complesse che forse non troveranno risposta…